TripAdvisor è entrato prepotentemente nella vita degli esercenti e pertanto, si comprende, è potenzialmente idoneo a fare la fortuna di ogni impresa del ramo della somministrazione.
E’ un classico esempio di service che, seppur adottando strumenti e sistemi di filtraggio atti ad individuare contenuti potenzialmente fraudolenti, accorda frequentemente la pubblicazione di frasi ed asserzioni decisamente discutibili e che travalicano senza dubbio i limiti del diritto di critica.
Come altro classificare, infatti, quei giudizi dalla portata assolutamente denigratoria e diffamatoria, tra i quali, per tutti, il commento riferito da un esercente che si conclude con la frase “ladri … ladri …ladri”.
Ebbene, considerando l’ormai indiscussa scelta dell’uomo medio di affidarsi, con crescente deferenza, a giudizi e valutazioni resi da ignoti avventori del web, è senza dubbio stimolante riflettere su eventuali profili di responsabilità civile e penale, ascrivibili in capo a tutti quei soggetti che, a diversi livelli, gestiscono il flusso di informazioni transitanti via Internet.
Tematica particolarmente dibattuta è quella relativa al profilarsi di risvolti penalistici nella condotta del sito che ometta di vigilare sui contenuti del proprio server e, più specificamente, se possa configurarsi una sua responsabilità a titolo di concorso omissivo nel reato commesso da altri sul web.
In sostanza, il punto fondamentale della questione, è quello di verificare se, in capo all’ hosting service provider –tra gli altri, il noto TripAdvisor-, sussista o meno un obbligo di garanzia, fondante una responsabilità di tipo omissivo ( ex co 2 art. 40 c.p.).
Ciò posto, occorre chiarire brevemente che, il requisito primo ed imprescindibile dell’illecito penale è il comportamento umano costituente reato. Questo può consistere in un’azione, intendendosi per tale un comportamento materiale idoneo ad offendere uno specifico interesse protetto da norma giuridica e sentito dalla collettività, ovvero, in un’omissione, ossia quel dato comportamento che si concreta in un non facere del soggetto (art. 40 comma 2 c.p.). In quest’ultimo caso, per aversi reato, non è sufficiente la semplice inerzia da parte del soggetto, essendo necessario che egli ometta di compiere un’azione che, per legge, aveva l’obbligo di compiere.
Si pensi, a titolo di esempio, all’omissione di soccorso.
Il punto dunque è verificare se, TripAdvisor, quale service provider sia gravato o meno da un obbligo inteso nel senso poc’anzi descritto e dunque se sia tenuto a segnalare condotte diffamanti all’Autorità Giudiziaria competente, considerando che comunque dispone di strumenti concreti, idonei a percepire adeguatamente l’illiceità e l’attitudine diffamatoria dei contenuti immessi nella rete internet.
Il discorso, si comprende, assume un rilievo non trascurabile considerando che, feedback negativi ed indiscriminati, causano danni all’immagine anche ingenti ai recensiti (tra i quali, appunto, ristoranti, pub, bar, bed and breakfast et similia).
Si pensi al commento appena citato “ladri…ladri…ladri..”: ovvio che il danno, per l’esercente, è in re ipsa.
Sappiamo bene come l’immagine di un’impresa si esprima soprattutto nella considerazione che di questa hanno i consociati; logica conseguenza è, dunque, che l’utilizzo, in tal caso a mezzo web, di qualsivoglia espressione non frutto di un meditato dissenso, ma unicamente di un’aggressione gratuita, determini una diminuzione nella considerazione dell’impresa stessa, qualificandosi come fonte di un danno non patrimoniale, risarcibile in quanto lesione dell’immagine commerciale.
Ovviamente il discrimine rimane sempre la continenza espressiva del feedback rilasciato; infatti, se è vero ed innegabile che la libertà d’espressione è garantita dalla nostra Carta Costituzionale ex art. 21 Cost., è pur vero che una valutazione negativa e perlopiù espressa oltre i limiti della pertinenza e continenza, assume i contorni di un’attività diffamatoria, prevista e sanzionata dall’art. 595 c.p.
Distinguiamo ora, le diverse posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti, abbiamo:
1) L’esercente-ristoratore recensito, soggetto passivo del reato e titolare del bene o dell’interesse tutelato, leso dalla condotta dell’utente autore della recensione;
2) l’autore della recensione, soggetto attivo che pone in essere il comportamento vietato dall’art. 595 c.p., ai sensi del quale, risponde di diffamazione chi “comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona non presente”. La pena prevista è la reclusione fino ad un anno o la multa fino ad €1.032,00.
L’elemento materiale del reato implica tre requisiti:
° l’assenza dell’offeso;
° l’offesa all’altrui reputazione (un qualsiasi atto o fatto che, se detto alla presenza dell’offeso, costituirebbe ingiuria);
°la comunicazione a più persone (la divulgazione, con qualsiasi mezzo, ad almeno due persone del fatto offensivo).
Costituisce aggravante speciale, tra le altre, l’offesa arrecata a mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità o in atto pubblico. In tal caso, la pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore ad € 516,00.
3) TripAdvisor, gestore del servizio in capo al quale potrebbe ascriversi una responsabilità penale a titolo di concorso omissivo nel reato commesso dall’autore del feedback gravemente diffamatorio.
Se da un lato è innegabile che l’autore dello scritto offensivo potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di diffamazione, punibile a querela di parte ex art. 336 c.p.p, dall’altro, ci domandiamo, potrebbe ritenersi responsabile anche il gestore del sito per aver omesso il necessario controllo sul contenuto offensivo della recensione pubblicata?
Ebbene, siffatta responsabilità emergerebbe qualora venissero provate, nell’ordine:
– l’esistenza di una posizione di garanzia, intesa come l’obbligo giuridico di impedire l’evento da parte del gestore del servizio internet;
– la possibilità di controllare preventivamente i feedback;
– la prova certa dell’elemento soggettivo del reato, intesa come coscienza e volontà di diffondere la notizia lesiva dell’altrui reputazione.
Le ultime pronunce giurisprudenziali hanno qualificato TripAdvisor come hosting provider e dunque come servizio che non interferisce con il contenuto delle recensioni, non potendosi, per l’effetto, considerare responsabile degli illeciti eventualmente commessi dagli utenti.
Si veda, ad esempio, il Tribunale di Grosseto, che, con sentenza n. 46 del 2016, ha inquadrato TripAdvisor appunto come un sito che, seppur memorizzando i contenuti forniti dagli utenti, ha la mera facoltà e non l’obbligo di rimuovere gli stessi su richiesta del soggetto leso. Conseguentemente, l’accertamento della natura diffamatoria ed il consequenziale ordine di rimozione del post è di esclusiva competenza dell’Autorità Giudiziaria.
Ancora, il TAR Lazio, con Sentenza n. 9355 del 13 luglio 2015, ha annullato un provvedimento adottato dall’AGCM che, all’esito di formale procedimento contraddistinto anche da un’ispezione presso la sede di TripAdvisor Italy S.r.l., riscontrando l’esercizio di pratiche scorrette in violazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, irrogava alle Società del Gruppo TripAdvisor una sanzione ammontante ad € 500.000,00.
Il provvedimento dell’AGCM scaturiva dalla, condivisibile, considerazione che, TripAdvisor, pur dichiarando di non effettuare un controllo sui contenuti delle recensioni sul web, ciononostante pubblicava i commenti, utilizzando, peraltro, affermazioni assertive, concretamente idonee ad accrescere la fiducia degli ignari consumatori su dati, di fatto, non veritieri.
Il Tar Lazio, richiamando altre pronunce, in particolare, C.d.S., Sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050 e 21 settembre 2011, ha sottolineato che, “qualora l’episodio che ha dato luogo alla segnalazione di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario sia stato generato da un caso isolato, l’episodio stesso è da considerare di scarsa significatività e, come tale, non riconducibile – perché divenga giuridicamente rilevante – ad una vera e propria “pratica” commerciale dal carattere di oggettiva ingannevolezza”.
Se tutto ciò è vero, d’altro canto non può tacersi che, il Tribunale di Venezia, con provvedimento d’urgenza del 24.05.2015 ha ordinato ad una nota Società di rimuovere un post assolutamente diffamatorio e “non frutto di reale esperienza da parte del recensore”.
L’Autorità Giudiziaria ha dunque chiarito, discostandosi da quanto poc’anzi riferito – Tribunale di Grosseto-, che il portale è gravato dall’obbligo di vagliare adeguatamente le recensioni e di rispondere “degli eventuali illeciti commessi dal recensore allorquando, con la propria condotta omissiva, magari anche solo di tipo colposo, abbia facilitato/favorito l’illecito altrui”.
La suesposta disamina, seppur succinta, ben rende l’idea di quanto la materia non sia in realtà garantita da compatta giurisprudenza, trattandosi in realtà di contrastanti orientamenti.
Ciò posto, a noi sembra che il sito offra ben oltre della sola ospitalità e ciò lo si comprende facilmente qualora si consideri che, l’esistenza del server è essa stessa condizione necessaria per il verificarsi dell’atto illecito.
E’ francamente inspiegabile come un sito di tal livello, che rappresenta una vera miniera d’oro per tutti quegli esercenti che non possono permettersi forti investimenti pubblicitari, declini senza mezzi termini la propria responsabilità. A noi pare, infatti, che non possa affatto qualificarsi alla stregua di semplice e neutrale intermediario: i filtri e le rimozioni adottati nell’intento di scremare i contenuti immessi in rete, ne determinano, a ragion veduta, un ruolo tutt’altro che passivo.
www.studiolegaleinnocenti.com
Francesco avv. Innocenti Sofia Maria avv. Di Pippo
Accollo interno e sua opponibilità al creditore procedente.
Il Tribunale di Brescia, chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 comma 2° c.p.c., ha qualificato come “accollo interno” quello stipulato